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Titolo: La leggera
Collaboro da qualche tempo con Marco Rovelli, performer versatile e strepitoso talento di cantante e ricercatore del repertorio di canti tradizionali della Toscana, che ha avuto come interpreti l'indimenticabile Dodi Moscati ma, soprattutto, la grandissima Caterina Bueno. Marco, di Caterina, è il legittimo erede, per la sua capacità di interprete ma anche per essersi assunto il compito di dare futuro ad uno dei più preziosi tesori della nostra cultura nazionale. Moni Ovadia. Un recital di teatro-canzone in cui Marco Rovelli, musicista e scrittore, inanella i canti della tradizione toscana raccontando storie di vita di tre persone che incarnavano l'anima più profonda della Toscana popolare. Caterina Bueno (per Rovelli una maestra), che raccolse e cantò i canti di una millenaria cultura popolare. Altamante Logli, il re incontrastato dei genialissimi poeti improvvisatori in ottava rima. Carlo Monni, che incarnava lo spirito sanguigno della toscanità, la poesia della terra e del vino, degli alberi e delle donne. Negli anni sessanta Caterina Bueno andava in giro per la Toscana, per le osterie dei paesi, con la sua Cinquecento e il suo registratore Geloso, si fermava nelle osterie e beveva con i contadini, riusciva a farsi donare quei canti che a loro erano stati tramandati, si faceva donare secoli di canti e di storia. E li salvava quei canti, quei canti che noi chiamiamo popolari, perché in quegli anni sessanta in cui le lucciole scomparivano, come diceva Pasolini, gli anni di un radicale trapasso antropologico, se non ci fossero stati quelli come Caterina che andavano in giro a salvarle, le lucciole, si sarebbe rimasti nella notte. Rovelli, raccontando storie e brani di vita di Caterina, ma anche di Carlo e di Altamante, canterà molti canti della tradizione toscana – quasi tutti, ovviamente, salvati da Caterina Bueno -, iniziando con i rispetti d'amore e i canto del Maggio (che si cantava appunto quando veniva maggio per celebrare e propiziare il rifiorire della natura, e si andava di casa in casa, di cascina in cascina, cantando e suonando con i cappelli infiorati, augurando una buona annata e un buon raccolto ai poderi, con l'alberaio, che portava l'albero fiorito, il poeta, che improvvisava rime, il corbellaio, che portava il corbello, il cesto dove si mettevano le offerte, e i padroni di casa dovevano offrire da bere e da mangiare) per finire ai canti anarchici che nell'Ottocento si diffusero per riscattare la fatica secolare dei contadini e dei carbonai, le loro secolari tribolazioni. |
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