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29/05/2018

Recensione a Il tempo delle ciliegie di Giovanna Ferrara sul Manifesto

 Il tempo delle ciliegie è la primavera della rivolta. Non viene scandito né dal prima né dal dopo. Accade quando l’uomo decide di essere libero assieme a tutti gli altri uomini. E, tentando, scopre necessaria la giustizia sociale. Accade la rivolta ogni volta che questo soggetto collettivo strappa l’individuo al desiderio solitario di una vita degna, accompagnata, a Pietrogrado come a Parigi, con la rivolta degli schiavi o le battaglie delle donne, da elementi costanti, fissi: nascono sempre dei giornali, c’è sempre l’amore stellare tra chi si ribella, l’euforia per aver sviato il corso del potere e poi, brutale, c’è la ferocia della repressione, che crede, sbagliandosi, nella sedizione definitiva.

Quella primavera non si dilegua se, nell’osceno del presente, possiamo ancora leggere di Louise Michel, la cui storia è ripercorsa in un libro che appunto si intitola Il tempo delle ciliegie (elèuthera, pp. 125, euro 14) da Marco Rovelli che affida a un racconto corale la ricostruzione di quell’anomalia chiamata la Comune di Parigi.

TANTE VOCI PER RESTITUIRE le angolazioni di una visuale stretta su questa donna di provincia, che impara il suo amore per la lotta dalla natura, che ne assapora la vicinanza con il senso di una eternità mistica, che comincia la sua vocazione di irriducibile rivoltosa dal progetto di insegnare. Arriva a Parigi dopo aver scoperto la passione per la poesia, corroborata da una corrispondenza con Victor Hugo, tutta protesa a scandagliare la follia di un mondo in cui coesistono imperatori e miserabili.
A lui Michel manderà, prima che la Comune diventasse destino per entrambi, un libretto il cui titolo è già la lettura di una profezia, Bagliori nell’ombra: mai più idioti, mai più pazzi, con il quale dichiarava cosa intendesse per educazione: «bisogna insegnare agli idioti e ai pazzi a vedere, a sentire a desiderare, prima che a ragionare». Ed è subito chiara la composizione di una biografia tutta in controcorrente, in cui la rivolta è, prima di tutto, sentimento e istinto.

SEMBRANO SFUMATURE della partitura di uno stesso evento, amato da Marx e a cui in tanti pensarono quando fu preso, nel 1917, il palazzo d’Inverno (per farne primavera, ovvero ciliegie). E invece sono i nodi stessi ai quali ogni rivoluzione è chiamata a rispondere. Nei combattimenti contro i Versagliesi Louise, vestita da maschio, si rifiutava di essere relegata al ruolo di cura che faceva delle donne, perlopiù, le infermiere dei comunardi. Si spazientiva delle tattiche, chiedeva ai suoi compagni di sfondare il campo. Provocava il potere andando e venendo da Versaille, dimostrando che l’anomalia di una insurrezione va portata avanti con l’anomalia di una fede nel fatto che quella insurrezione abbia non solo il diritto di accadere, ma quello di resistere.

SONO TANTI I PIANI che la storia di Louise Michel ha attraversato. Lotta per le nuove istituzioni della Comune, le fabbriche sequestrate ai padroni, la scuola primaria obbligatoria, gratuita e laica, le cooperative autogestite secondo il principio dell’eguaglianza salariale, gli appartamenti sfitti occupati dai lavoratori delle periferie, misure che oggi chiameremmo reddito universale.
Ma è stata anche una battaglia per le donne, quando impone ai compagni eletti (lei non poteva nemmeno votare) di ritrattare il diniego a combattere destinato alle prostitute per evitarne l’indegnità: proprio sul loro corpo, dice, l’oppressione è stata più feroce, proprio questi corpi hanno diritto più di altri a evitare «la catastrofe, cioè che tutto continui come prima».

È STATA PERSINO analisi della condizione coloniale in cui gli indigeni della Nuova Caledonia erano stati ridotti diventando colonia penale francese, dove Louise Michel, finì assieme a tante sue compagne. È stata lotta senza tempo quella di una donna sospettata per la totalità del suo amore rivoluzionario, che la portò a convivere solo con donne, rifiutando la maternità e tessendo con il più caro dei suo compagni, Théophile Ferré, un sodalizio che sfugge a qualsiasi catalogazione. Perché lei era «la Comune, il fuoco che sprigiona un tempo nuovo».

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