Marco Rovelli

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18/03/2020

Recensione a Portami al confine di Marco Sonaglia su Il Popolo del Blues

 http://www.ilpopolodelblues.com/wp/2020/03/marco-rovelli-linnominabile-portami-al-confine/

Marco Rovelli è una figura eclettica, quello che una volta avremmo chiamato agitatore culturale, infatti si divide tra poesia, scrittura, canzone d’autore e reportages sociali con ottimi risultati.Il suo ritorno alla musica, dopo “Tutto inizia sempre”, è con un disco decisamente elettrico dal titolo “Portami al confine”, con la copertina firmata dall’artista cileno Alfredo Jaar, che recupera le parole de “L ‘innominabile”, il romanzo che chiude la trilogia di Beckett (“I cant’t go on, I’ll go on”). Un concept album sul tema del confine, che separa gli stati e i cittadini, che è quello anche dei rapporti personali e d’amore, praticamente un tema del nostro vivere quotidiano. Per raccontare le sue storie, Rovelli scrive e produce artisticamente il disco insieme a Rocco Marchi e Roberto Passuti, usa suoni sporchi, taglienti, nervosi, grazie alla chitarra drone di Paolo Monti, al violoncello di Lara Vecoli, al basso e alle stanze sonore di Rocco Marchi e la batteria avantjazz di Massimiliano Furia. Le canzoni sembrano schiaffi alla realtà, alcuni sembrano dei propri inni come l’iniziale “Beckett” ( “Ho sempre provato, ho sempre fallito, proverò ancora, fallirò ancora, fallirò meglio”) e “Cuore di tenebra” (“Aprite le gole, aprite e respirate, venerate gl’idoli, affondate nel cuore di tenebra della vostra terra”), “Tempo rubato” musicalmente ricorda il Battiato degli anni ottanta, “Il povero Cristo” ci offre un Messia diverso (“Non sono io che ho parole di conforto, il mio regno è un mare immenso, il mio regno è un legno storto, non ho parole dolci e tonde, io porto solo spada e fuoco dalle onde, non sono io che sto in alto sulla croce, io sono quello che non senti la sua voce quando trema e fa esplodere il calvario, non c’è canto che può stare in un sudario”), molto toccanti “La neve” ( “La neve che cade non fa distinzioni, copre una casa, copre una fossa, copre animali, pianti e persone fino a che restano solo le ossa, ossa incrociate, ossa disperate, ossa portate via dalle morene e nella neve sempre così tonda si è infine perso ciò che ci appartiene”) e “Il muro di Idomeni” (“ Vedere una sirena che fa luce nel mare, la fiaba per il bimbo, tornare a respirare, sognare una sirena, seguirla per un poco e rivedere casa, è vero oppure è un gioco?”), non mancano brani parecchio crudi come “43” (“è luce, è sangue, è un aria limpida, il tonfo sordo di una pallottola, mi scopro vivo e come un miracolo, ho ancora i sogni in spalla come uno Stern”) e “Al confine” ( “ Maledetto quello sguardo opaco di dolore, che ha scelto di imbottirsi del suo dio sterminatore e ha sciolto nel suo grembo infecondo e inconsolato, chi gioiva della vita e dalla vita era abbracciato, benedetto sia chi lotta e ride di bellezza, che conserva dentro al pugno tutta la sua giovinezza, che seppellirà quel dio bavoso e indemoniato e non ci sarà che vento che la terra avrà liberato”) La chiusura del disco è uno splendido omaggio a Claudio Lolli, che qui canta per l’ultima volta in studio, con Rovelli, nel brano “La giacca”, tratta dal bellissimo disco “Un uomo in crisi, canzoni di morte, canzoni di vita” del 1973. Un duetto toccante, dove le due voci si intrecciano, si sfiorano, come un simbolico scambio di testimone. Rovelli canta con voce flebile, sofferta, a tratti arrabbiata la nostra società, la nostra squallida realtà, lasciandoci poche speranze, nonostante tutto, ci sembra un disco necessario, che in qualche modo ci accarezza l’anima in questi tempi difficili.

 

 

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