Marco Rovelli

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24/04/2020

Recensione a Portami al confine di Antonio Vivaldi su Tomtomrock

 La prima canzone di Portami Al Confine s’intitola Beckett, la seconda porta il nome dell’epocale romanzo di Joseph Conrad, Cuore Di Tenebra. E nel libretto del cd (come di consueto complimenti a squi[libri]) vengono menzionati Debord, Hegel, Queneau, Rimbaud, Zola…

 

Ma attenzione, Marco Rovelli non è un tipo libresco (anche se fa il professore). Piuttosto è uno che interiorizza le sue conoscenze e trova nella musica il modo per veicolarle in forma ‘emotivizzata’ (è un complimento, anche se magari non si capisce). Questo vale, ad esempio, per l’appena citata Cuore Di Tenebra, un catalogo di sopraffazioni e violenze lungo otto secoli a cui si contrappone un singolo e salvifico atto d’amore. Oppure, se il faro dell’attenzione si volge a un episodio specifico, vale per 43, poco nota pagina di storia partigiana.

 

Il tema del disco, l’idea di confine, (già delineato nella copertina, opera dell’artista cileno Alfredo Jaar) si svela nitidamente quando Rovelli passa a cantare l’attualità e la rende feroce, come è giusto che sia. Ma anche qui non manca lo scatto positivo, come nel caso della title-track, invocazione spontanea e bellissima, utile nei momenti di scoramento per capire che non si è soli contro il mondo. Anche se la collocazione politica dell’autore è chiara, quello che si ascolta non è un disco politico. Verrebbe da definirlo un lungo apologo morale sotto forma di esempi. Tra la sua pubblicazione e questa recensione c’è stata l’irruzione nelle nostre vite del Coronavirus. Portami Al Confine è opera che in questo durante/dopo è utilissimo per capire quanto fosse orripilante il prima, un tempo-luogo fatto di barriere reali e mentali.  Non abbiamo nessun passato prossimo ‘incontaminato’ a cui tornare e per il problematico futuro avremo molto bisogno di cantori come Rovelli.

La musica di Portami Al Confine

Reduce dalla ricerca sul materiale tradizionale che aveva prodotto Bella Una Serpe Con Le Spoglie D’oro (dedicato al repertorio di Caterina Bueno), Rovelli libera in Portami Al Confine le sue energie rock, bene aiutato dall’ensemble L’Innominabile. Il Povero Cristo fa scintillare bagliori dei primi U2, quelli ricchi d’urgenza, mentre Tempo Rubato ha cadenze da Cinghiale Bianco del Battiato pop. In più punti vengono in mente i suoni viscerali di Thin White Rope e Dream Syndicate, mentre il violoncello di Lara Vecoli fa pensare ai Nirvana unplugged. Dove il folk si fa sentire è nel canto. Rovelli non canta da cantautore, ma neanche da rocker. Ha una voce da cantastorie (moderno), da combattente di tenzoni in versi e forse il lavoro su Caterina Bueno lo ha fortificato in questo.

 

Portami Al Confine è un bel disco che in altri tempi si sarebbe anche detto importante (la musica è ancora importante?) e che forse ha il solo difetto di mettere in fila troppe canzoni. Ma questo potrebbe essere un problema da ascoltatore alle prese con il logorio della vita moderna: troppi concetti affaticano gli schiavi delle suggestioni multitasking.

Marco Rovelli e Claudio Lolli

Poi bisogna parlare dell’ultima canzone: La Giacca di Claudio Lolli. Una versione bellissima in cui si ascolta il canto ormai molto affaticato di Lolli in quella che sarebbe stata la sua ultima incisione. Quando la sua voce e quella di Rovelli si intrecciano  è impossibile non commuoversi. Cover dell’anno, verrebbe da dire, ma sarebbe meglio definirla cover della vita. Nel senso della vita che vince sulla morte.

 

Marco Rovelli & L'Innominabile - Portami Al Confine
 
 
 

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