[indietro]
30/06/2020 Recensione a La parte del fuoco di Francesco Borrasso su Sul romanzo
http://www.sulromanzo.it/blog/un-romanzo-che-parla-degli-ultimi-la-parte-del-fuoco-di-marco-rovelli «Quando tornate a casa tu vai a innaffiare l’orto nella piana. Hai piantato melanzane, insalata, pomodori, zucchine, insomma l’orto classico italiano, che hai imparato a curare. Non arrivi a farti le mani nere come la vecchia signora che ama Puccini, ma anche a te capita già di parlare alle piante come cose vive. Vedi Elsa che gira intorno alla casa: tasta la consistenza della materia, sente la porosità dei muri, segue le forme, gli angoli. Lo fai anche tu a volte, è questione d’intimità, di farsi amici con lo spazio d’intorno, abitarlo come si abita il proprio corpo.»
A volte si cerca un appiglio, si cerca una mano che possa sostenerci, che possa tenerci a galla quando tutto intorno a noi inizia ad affondare, e a volte quella mano è salvezza, è qualcosa di sconosciuto eppure molto uguale a noi, qualcosa di alieno che compie però i nostri stessi movimenti, che possiede i nostri gesti, i nostri modi di restare al mondo. Ma due persone sul filo, insieme, si salvano o rischiano di perdere l’equilibrio più facilmente? Il tempo che passi con una persona è molto relativo, è superficie, è come polvere che può volare via alla prima folata di vento; conta quanto intenso è il passaggio che si apre in un contatto tra due persone, conta quanto forte può essere un abbraccio e quanta disperazione vive nello spazio d’aria che separa due corpi vicini. Elsa entra ed esce dalle cliniche, la sua è una vita al limite, è sempre tutto troppo o troppo poco; Karim è un clandestino, immigrato in Italia, vive alla giornata cercando di non finire negli agguati delle forze dell’ordine e provando a guadagnare i pochi soldi che gli potranno permettere di mangiare e pagare un affitto. Il loro incontro è il contatto primigenio, è qualcosa che rende deboli le loro riserve, che li spinge ad abbandonare i loro fortini e a cercare approdo dentro l’altra persona. La parte del fuoco è un romanzo che riesce a scuotere, lo fa con una scrittura armoniosa, fluida e con un ritmo veloce che ci porta in maniera precisa dentro le esistenze ai margini di Elsa e Karim, ci fa esplorare le loro paure e le loro rabbie, ci fa sperare con loro e ci fa sentire addosso un po’ della loro disperazione, una disperazione che si aggrappa ai loro corpi e cerca di pesare quanto più possibile su ogni singolo movimento di speranza. «Guardati come fossi un altro, e chiediti chi sta soffrendo adesso. Non sei tu. C’è solo un insieme disordinato di sensi e memorie che nessuno può ordinare. Guardati all’esterno e sottraiti alle sbarre che ti circondano. Hai articolato le parole del sangue per gridare presenza al mondo, per dire al mondo che là fuori tu esisti.» Marco Rovelli ha scritto un romanzo che parla degli ultimi, un romanzo che prova a raccontarci i drammi e le angosce delle persone che ogni giorno sono costretti a prendere parte a una guerra, a odiare se stessi e gli altri, singolarmente o contemporaneamente. Un libro da leggere per cercare di comprendere quanto sottile e labile possa essere il confine tra salvezza e miseria, tra vita e morte, tra amore e abbandono. «Vi voltate, il mare adesso comincia ad essere agitato. Una lama di luce taglia l’atmosfera, si dispiega sulla superficie delle acque, sulla spuma della onde che la luce espone in una bianchezza di furore. Poi si allarga fino a riva, alla baracca di lamiera del bar sulla spiaggia, e lì riverbera, e acceca. Questa affilatezza fa vibrare le cose dell’abbaglio che gli è proprio. Camminate con lo sguardo fisso su questo svelamento, sul gesto della luce che fa segno alle labbra spalancate delle cose.» A volte pensiamo di essere forti, di non aver bisogno di nessuno e restiamo chiusi dentro prigioni visibili solo a noi stessi, vere solo per la nostra pelle, per la nostra mente, per i nostri occhi; ma poi arriva qualcuno che somiglia a qualcosa di già visto, che odora di un profumo che già abbiamo sentito molto volte, che si sposta sulla terra nello stesso modo in cui facciamo noi, e allora non resta nient’altro da fare se non riprendere a respirare. |
|