Marco Rovelli

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11/11/2020

Intervista su La parte del fuoco di Giancarlo Visitilli su Masticaesputa

 https://masticaesputacom.wordpress.com/2020/11/11/karim-ed-elsa-entrambi-dalla-parte-del-fuoco-il-romanzo-di-marco-rovelli

 

Riconoscersi da ciò che lascia il vuoto. Sulla pelle, negli occhi, nella vita. Incontrarsi ai margini di ogni ferita. Per curarsi. E’ quello che accade a Karim, immigrato tunisino, e a Elsa, ragazza del Nordest sviluppato. Marco Rovelli scrive un romanzo, La parte del fuoco (Terrarossa edizioni), trapassando qualsiasi latitudine e longitudine e riscrivendo i luoghi, ricucendoli con le parole, come fossero pelle, carne, sangue, sudore. Consistenza.

Come nesce l’idea di scrivere La parte del fuoco?
Il campo della mia esistenza é stato segnato da alcuni incontri, con alcune persone, ragazze, donne, anoressiche e autolesioniste, che praticavano questa forma di taglio della pelle. E se la letteratura è la creazione di mondi possibili, in un romanzo ho fatto incontrare questi due mondi, quelli del margine, ognuno a suo modo, che molto probabilmente, nella realtà, difficilmente si sarebbero incontrati. Ho provato a pensare a una forma di salvezza reciproca, non perché qualcuno dei due si salvi. Perché già l’incontro è una salvezza.

 

Chi sono “i corpi esposti” di cui scrive nella prefazione al romanzo?
Corpo esposto era il titolo del mio primo libro di poesie. Il corpo esposto è ciascuno di noi quando si espone al margine di se stesso, delle cose, della vita. E’ dal margine che si comprende la forma delle cose, che nel centro sfugge, come ho scritto nella prefazione del romanzo. Quindi, significa esporsi al fuori, alla pelle. Quindi, i due corpi di cui racconto siamo tutti noi, quando ci esponiamo ai margini. Loro si espongono al sacrificio, al fuoco.

“I morti chiamano altri morti” ma “si può essere vivi grazie ai morti”. Qual è l’eredità di chi va via, nei confronti di chi rimane? E’ così anche quando si tratta di morti in tragedia, come possono esserlo gli immigrati? 
Noi siamo in questa grande infinita rete di singolarità, di esistenze che si toccano, si fondono, confondono, che esondano l’una nell’altra come i protagonisti del romanzo e si toccano le ferite. Questo permette di riconoscersi. Così è fra i morti e i vivi. La nostra responsabilità è rispondere a questa unità che ci trattiene presso di sé all’infinito.

Tagli, cuciture di bocche, ferite, tatuaggi… Il suo romanzo ha a che fare molto con l’epidermide, al modo della sua scrittura che il lettore avverte come la sensazione di toccare. Come ha lavorato sulla scrittura?
E’ una cosa che mi piace molto quello che dice, perché effettivamente percepisco e concepisco le parole come un qualcosa di materico, che ruota in bocca, come le parole da succhiare di Beckett. Le parole, quindi, sono pietre che rotolano. Quando scrivo, mi viene di fare un lavoro musicale. Quando scrivo, la musicalità delle parole è un elemento imprescindibile. 

Lei ha conosciuto più “uomini di mare, di terra o di deserto”, prima di scrivere questo romanzo? 
Inevitabilmente credo siamo destinati a conoscere più uomini di terra. Cionondimeno, gli uomini, le figure, quelli che attraggono di più sono quelli che si offrono nella loro nudità nel deserto, con la loro potenza presenza, sonora, del loro corpo esposto.

 

Nel suo romanzo lei parla spesso dei muri, dei limiti, di ciò che delimita. E separa. Quali sono i peggiori muri oggi presenti nelle nostre vite?
Siamo pieni di muri e dunque chiedersi quali siano i muri peggiori è difficile. Sarebbe come studiare una graduatoria del male. Il muro è il male, è un rinserrarsi di un corpo che non si espone. Oggi i muri sono politici, e il loro proliferare, dall’89 in poi, dai muri di Gaza a quelli del Messico, i muri dell’Europa che si fa muro quando si chiude al Mediterraneo, divenuto cimitero. Il mio ultimo album si chiama Portami al confine, è un invito ad andare sul confine, per cancellarlo, calpestarlo, superarlo. Non smetteremo mai di risorgere contro la sua risorgenza. E poi ci sono i muri dell’illusione del mondo, dell’io, un proliferare di identità chiuse, perché implicano un nemico, e noi viviamo in quest’epoca di muri.

La storia di Karim ed Elsa è una storia di libertà. Crede che, nella realtà, esistano abbastanza storie simili a quelle di cui lei ha scritto? E cosa manca nel nostro Paese, con la migliore Costituzione del mondo, cristiano, democratico, e chi ne ha più ne metta, per essere veramente liberi?
Si, nella vita reale ci sono tante persone come Karim ed Elsa, di persone del margine e al margine restano. Sono sempre di più. Persone che prese singolarmente sono reali. Nel nostro paese mancano un’infinità di cose. È il paese che ha inventato il fascismo: e ho detto tutto…

Quali sono i suoi progetti futuri? 
In questo momento sto lavorando a un romanzo biografico sulla vita di Claudio Lolli, uno dei più grandi poeti della musica italiana. Sarà un romanzo corale. E poi ho in lavoro un altro album di canti d’amore della tradizione popolare italiana, in chiave elettrica. In fine, mi auguro di poter andare in giro a fare concerti, così come avrebbe dovuto essere quest’anno.

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