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12/02/2023 Recensione a Soffro dunque siamo di Chiara Beretta Mazzotta su Bookblister
E poi è stato il “non tempo”. Domani è rimasto oggi. E lo spazio tra le cose e le persone è cambiato. “Si sta sospesi in un eterno presente: ma anche il presente sembra scomparso, perché il tempo vive solo nello spazio, nel contatto con le cose: e le cose sono lontane, tremendamente lontane.” E così si è creato posto nelle nostre vite per farci delle domande. Per sfilarci dalla routine che tutto riempie e ci lascia stremati. Si è creato spazio per osservarci e per domandarci se fossimo felici, se così bastava, se era quella la vita per noi. Ma andare a caccia di risposte richiede parecchia energia. E se mancano le risorse si sta male. Tu lo sai di cosa sto parlando, vero? Non ha aiutato la solitudine, la mancanza di relazioni, i guai con il lavoro – per chi non lo ha perso – e gli equilibrismi da smart working che ha reso difficile separare la vita privata da quella lavorativa. E così con la pandemia, è esploso il disagio psichico. Ma è stato generato o è stato innescato? “Perché questa esplosione del disagio – sintomi depressivi o ansiosi generalizzati – non è un’irruzione improvvisa, una comparsa di alieni dallo spazio. Questa immane fatica è da intendersi proprio alla luce della nostra mancanza di risorse per far fronte a una crisi già in atto.” Lo tsunami, insomma, era dentro di noi. E sai come si dice? Le persone si conoscono nei momenti difficili, perché i guai le mettono a nudo. Ma se c’è una cosa che avremmo dovuto imparare durante la Pandemia è a prenderci cura, perché il disagio psichico è un sintomo che trascuriamo ordinariamente. E parlo di depressione, disturbi di panico, disturbi borderline, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi del comportamento alimentare, fenomeni di ritiro sociale. Parlo di un malessere sociale – tanto diffuso che potremmo definirlo un normalessere – che è caratterizzato da un senso di insicurezza e di incertezza totale. Come si coniuga tutto questo con una società violentemente performativa e competitiva. Una società in cui “se vuoi, puoi!” in cui non ti è concesso mollare, essere stanco o sopraffatto/a? E come si cura tutto questo? Con un farmaco? Con la parola? Cioè qual è la cassetta degli attrezzi cui disponiamo e cosa contiene? Attraverso una mappa fatta di parole chiave, vite vissute, dolori condivisi e soprattutto grazie a una costellazione di approcci e differenti punti di vista sul disagio psichico, in questo libro troverai uno spazio di attenzione e di senso per occuparti di questo dolore, per prenderti cura di te, di noi. Perché questo disagio non riguarda solo un corpo, né una singola persona – non c’entra con una macchina che fa i capricci e va aggiustata, così come la guarigione non può essere una normalità finta, caricaturale – è qualcosa che attiene la sfera sociale, politica. E dobbiamo farcene carico tutti.
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