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17/11/2023 Recensione a Nella notte ci guidano le stelle di Giada Lottini su Mescalina
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La Resistenza è uno di quei temi che non possono e non devono scomparire dalla coscienza collettiva e dall’analisi culturale: quale movimento politico sfaccettato e necessario, non è strano pensare che abbia influenzato la musica popolare che ai tempi ancora svolgeva la funzione di memoria storica.
Dalla rievocazione alla riscoperta filologica, fino alla captatio benevolentiae da Concerto del Primo Maggio, tra riscoperte di cantautorato engagé e recuperi d’urgenza, tentazioni di slogan e istanze identitarie, le canzoni sono cambiate coi tempi.
Uscita ad aprile 2023 per Squilibri Editore e vincitrice della Targa Tenco per il miglior album a progetto, questa antologia ci mostra lo stato presente dei canti della Resistenza in modo talmente variegato che è difficile giudicare il disco in quanto tale.
Immediatamente viene da pensare, vista la chiamata a raccolta di molti esponenti della scena rock nazionale, a un altro progetto: Materiale Resistente, che fu pubblicato nel 1995 in occasione del cinquantesimo dalla Resistenza.
Si comincia, tra brani editi e inediti, con l’immancabile Bella Ciao (Alba 1944), eseguita dagli Yo Yo Mundi e arricchita dalla voce sempre incantevole di Lalli, in cui la storia personale si sovrappone alla Storia; prosegue il sempre sobrio Paolo Benvegnù con Cervi, più ritmata e con un sentore di Battiato nei suoni.
Una piacevole sorpresa è Sbandati, di Marco Rovelli e Teho Teardo: “è ora d’andare, lasciarsi le spalle tutto il male, con un inno nuovo da imbracciare”: nulla di epico nella stratificazione armonica.
I Marlene Kuntz, con un brano dove ancora possiamo sentire Luca Bergia alla batteria, sono sospesi tra melodia popolare e naturale background rock, affilato da pochi tocchi di chitarra. Pierpaolo Capovilla, come sempre declamatorio e teatrale, ci porta al destino più tragico con E quei briganti neri, mentre l’americana Marisa Anderson propone una Fischia il vento affidata alla chitarra elettrica. Petra Magoni si affida a un arrangiamento più folk, con fisarmonica effettata e voce come sempre protagonista. Preludio alla conclusione quasi sognante dei Mariposa con Megu Felice, tra postrock e dreampop. Poi Bella Ciao, stavolta affidata a Vinicio Capossela e Dimitris Mystakidis, chiude il cerchio.
Un disco per sua natura disomogeneo, insomma, ma non privo di un fascino, che sa prevaricare – fortunatamente – la sensazione di progetto a tavolino a uso di club e festival cui poteva sembrare destinato. |
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