Marco Rovelli

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13/11/2023

Recensione a Concerto d'amore di Giorgio Olmoti su L'isola che non c'era

 http://www.lisolachenoncera.it/rivista/recensioni/concerto-damore/?fbclid=IwAR3mgsQa6pkd_kgrnkPhdL_33LPQZGX2L5MT9-Qb5EpeWAKMZEwI37W_72k

 

Il patrimonio culturale è certamente composto dalla fitta trama di produzioni artistiche che nel corso della storia dell’umanità hanno costruito linguaggi espressivi e scambiato e distrutto e rielaborato. Oltre la natura ferina e masticante dell’umano, mani premute sulle pareti delle caverne a lasciare un’impronta hanno suggerito a un Michelangelo ancora lontano da venire, che la strada era quella.

 

Ma il patrimonio culturale non è solo fatto di cose che puoi pesare e comprare e custodire in musei. L’UNESCO, per tirare dentro quelli in giacca e cravatta, ha fissato i criteri per dare forma anche a quello che una forma non ce l’ha proprio per sua natura, offrendo almeno una possibilità linguistica che ci consenta di capire a spanne di cosa si parla. Tanto noi di catturare lo spirito volatile di certe cose non abbiamo nessuna voglia perché è come portare un gatto selvatico al guinzaglio. E quindi si parla di patrimonio immateriale, fatto di cose trasmesse a voce, gesti ripetuti uguali da secoli, pratiche sociali e quell’arte che nasce e muore nello spazio di un’emozione e subito segue un bicchiere di vino. Immateriale è la faccia che gli diamo al Cristo nell’ex voto del pittore di paese, proprio l’espressione che gli assegniamo, e immateriale è l’odore di buono che esce dalle finestre nei vicoli la domenica. Immateriale è la canzone, soprattutto quella che non ha una partitura e un testo ma che si impara da una festa all’altra, da uno sposalizio a un ritorno.

 

 

 

 

 

Una premessa necessaria per capire questo disco nuovo di Marco Rovelli (qui in alto nella foto) e Paolo Monti che è una delle cose più belle che ci abbia regalato questo 2023 e già a dire “bello” siamo lì a galleggiare sulla natura immateriale dei giudizi e dei sentimenti. Del resto se andiamo a vedere la definizione istituzionale di bene immateriale questo “Concerto d’amore” potrebbe diventare il metro campione dell’immateriale da salvare. Può proporsi come trasmissibile da generazione a generazione, essere costantemente ricreato e diventare creatura mutante a seconda dell’ambiente e della storia, costruire una sorta di identità che sia spendibile come scambio, e poi le solite cose della sostenibilità che sempre ricorrono perché il legislatore ha una sua voga da seguire e per anni è inclusivo poi diventa sostenibile e prima era garanzia e sinergia.

 

Non giriamoci attorno oltre: la ricetta è semplicissima e allo stesso tempo inarrivabile. Si prendono canzoni popolari cantate da sempre o quasi e nei dialetti e nelle lingue povere, si mettono in un disco unite dalla rilettura sonora che lascia la vibrazione emotiva degli originali ma che le restituisce avvolte in un tessuto delicatissimo e sospeso di suoni ed effetti che evocano immagini e fanno visualizzare scene come in un film che cambia a ogni proiezione. Che bella occasione questo “Concerto d’amore” che vede Marco Rovelli, instancabile esploratore di linguaggi e storie e Paolo Monti che riesce a dare corpo alla musica con una perizia che gioca sulla ricerca di quello che serve, di quello che non ingombra ma è necessario. Un disco che gira perfetto, equilibrato, una sorta di storia sociale dell’emozione popolare che non possiamo perdere per spiegare a noi stessi chi siamo, chi siamo stati.

 

Serenate, canti d’amore e di passione e di dolore, partenze e Maremme da lasciare e maledire, belle che aspettano e odore dei campi e del sudore e delle mani sporche di terra che la sera suonano corde rozze. Un compendio di parole perdute e ritrovate che vede raccolti moltissimi ospiti che regalano a questa opera magistrale la natura corale che pretende luna raccolta di canzoni così concepita. Serena Altavilla, Paola Rovai, Lara Vecoli, Mara Redeghieri, Angela Baraldi, Fausta Vetere, Erica Boschiero compaiono tra le tracce e Lee Ranaldo, storico chitarrista dei Sonic Youth, si è fatto coinvolgere e ha ricamato con le sue corde alcuni brani. Senza dimenticare che la voce di Marco Rovelli è uno strumento raro di suo e già fa la differenza. Un disco da portare sui banchi a scuola, da dividere come una torta buona a fine pasto, da suggerire, da scoprire. Un kit di soccorso per l’anima. Così dense le immagini di questo disco che viene voglia di dire “andate a vederlo” piuttosto che “ascoltatelo”, come fosse un film in cui vi scoprirete protagonisti e comparse.

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