Marco Rovelli

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02/12/2009

Mucchio Selvaggio - "Servi" di Massimo Pirrotta

Ronde dalla tripla esse, camicie verdi, nere e brune. Primi cittadini smaniosi di sciogliere assembramenti dalla parlantina diversa. Come non capire che le attuali argomentazioni razziste sono una questione di vile denaro oltre/più che di colore della pelle? Forse danno fastidio petrolieri arabi, calciatori dell’Est europeo, modelle africane? Chi non è di grido, lontano dalle nostre coste. Ma la gente di mare, da sempre sostiene che chiunque si trovi in pericolo va soccorso. L’Italia, violentata dai fascisti e dalle mafie, ha inquietanti vuoti di memoria. Servi di Marco Rovelli (Feltrinelli, pp. 222, euro 15) è un’inchiesta che fa luce su realtà sommerse e su cui non si riflette adeguatamente. L’autore, mischiandosi con gli ultimi, racconta vicende di cui poco trapela. Clandestini divenuti regolari, ma anche regolari ritornati clandestini a causa della trafila dei permessi di soggiorno. Ne viene fuori uno spaccato trafitto da ipocrisie. Nell’entroterra, in provincia, nelle grandi città, c’è chi ne approfitta. Abusando, umiliando immigrati che raccolgono verdura e frutta dodici ore al giorno, 350 euro al mese. Alcune clausole: il primo mese gratis, la mazzetta ai caporali. Lavoratrici raramente in regola. Badanti, un termine un po’ così. "Una volta si badava ai porci, o alle pecore. Adesso è cambiato l’oggetto di cura e di attenzioni, adesso ad essere badati sono i vecchi. Ma un vecchio non è un porco. Richiede cure diverse, attenzioni diverse". "Datori di lavoro" che scappano quando qualcuno vola da un’impalcatura o viene schiacciato da un trattore che si ribalta. Chi si vede trattenuto dall’esigua paga anche l’utilizzo di una sedia a sdraio per poter dormire, chi si è spezzato un braccio, ora non è più buono e vaga senza meta negli slum metropolitani, chi possiede fasulli contratti part-time (e lavora sino a notte fonda), chi sogna di poter tornare nel paese d’origine ed è diventato dipendente dell’antenna parabolica, chi ha aperto un call-center per regolarizzarsi, chi ha a che fare con il clan dei Casalesi e chi, lavorando nella cucina di un rinomato ristorante, si è gravemente ustionato. Trascinato fuori ed abbandonato vicino alla spazzatura. Luoghi di lavoro dove "il rovescio speculare della compassione è il razzismo. Quando ti compatiscono è perché ti giudicano inferiore. Allora razzismo e compassione procedono fianco a fianco". E come in ogni Stato democratico, autoritario, dittatoriale, per gli irregolari di ogni risma c’è il carcere. Dove l’impatto iniziale è un pu gno allo stomaco. Ancora peggio per chi non capisce la nostra lingua, ha avvocati d’ufficio, è lontano da tutto. Ec co il perché di molti atti autolesionisti durante i primi giorni di detenzione. Fra una popolazione carceraria, che in troppi casi, non è stata ancora giudicata colpevole. Ma sta dentro, in attesa del verdetto finale. Allora di quale stato di diritto, di onestà ed equità, si parla quando si fanno o recchie da mercante alla sacrosanta domanda di giustizia sociale?

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