Marco Rovelli

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21/01/2010

Recensione di Servi sul quotidiano svedese Dagens Nyheter

Gli schiavi invisibili dell'Italia

di Margareta Zetterstrom

La dura politica anti-immigrazione dell’Italia crea quella forza lavoro nera e sottoretribuita che il sistema sanitario e l’industria di agrumi invocano a gran voce. Un nuovo libro getta una luce diversa sulla guerra italiana contro gli illegali.

Negli ultimi tempi, l’Italia ha fortemente inasprito la sua politica di immigrazione e ha introdotto dure pene per gli immigrati presenti sul suolo italiano senza permesso di soggiorno e senza documenti di identità. L’Italia è anche, tra i paesi europei più sviluppati, quello in cui il lavoro nero è più diffuso e in cui sono soprattutto gli immigrati illegali e senza documenti ad essere utilizzati come forza lavoro in nero.

Ecco come stanno le cose. Ma si tratta di due fenomeni completamente separati o esiste un qualche tipo di relazione tra loro?

Uno dei vantaggi del nuovo libro di Marco Rovelli, ”Servi”, è che getta nuova luce su tale questione. Lo scrittore punta i riflettori proprio su quei settori dell’economia italiana in cui il lavoro nero è più comune: l’agricoltura, certi settori industriali e l’edilizia. Queste attività, e soprattutto le imprese molto piccole dei vari settori, le micro-imprese, hanno infatti – in parte come conseguenza della concorrenza globale – acuto bisogno di lavoratori che si accontentino di stipendi da fame, accettino di lavorare senza alcun contratto né diritti riconosciuti e che non protestino mai nel caso in cui a volte lo stipendio non venga pagato o l’ambiente di lavoro sia pericoloso e insalubre.

Si dice spesso che la forza lavoro interna dei paesi industrializzati come l’Italia si sia “impigrita” troppo per svolgere determinate mansioni. Ma non è vero. Non è quello il punto dolente. Ci sono invece pochi cittadini italiani che accettano le condizioni di semi-schiavitù che gli immigrati illegali, causa l’incertezza della loro situazione, si trovano costretti a sopportare. L’alternativa di questi potenziali schiavi è di essere condannati a pesanti multe, finire in custodia preventiva in speciali centri per poi essere sbattuti fuori dal paese e ritornare a quella povertà e/o quell’oppressione da cui un giorno erano fuggiti. In una situazione del genere, alle multe, alla prigione e all’espulsione i più preferiscono nonostante tutto la schiavitù.

Marco Rovelli — che è anche insegnante di storia e filosofia ed è conosciuto come cantante e paroliere, prima nel gruppo Les Anarchistes e adesso come solista – capovolge le prospettive e mostra che la xenofobia e la sempre più dura politica anti-immigrazione “producono” proprio quella forza lavoro che alcuni settori dell’economia italiana reclamano. L’uso nel titolo della parola “Servi” non costituisce alcuna esagerazione, perché qui è evidente che si tratti dello sfruttamento di persone che non hanno alcuna possibilità di dire di no.

Marco Rovelli ha scritto in precedenza un libro sui campi di detenzione in cui soggiornano i rifugiati senza documenti prima di essere espulsi dal paese. Si chiama “Lager italiani” ed è uscito nel 2006. Un altro dei suoi libri, “Lavorare uccide” del 2008, parla dell’enorme numero di morti sul lavoro in Italia, la maggior parte delle quali avviene ovviamente nel settore del lavoro nero e irregolare.

In entrambi questi libri e nel nuovo, dal sottotitolo ”Il paese sommerso dei clandestini al lavoro”, l’ambizione di Rovelli è di dare un volto e una voce a quelle persone che altrimenti si manifestano solo come anonime cifre di statistiche o di notizie telegrafiche. Mette in risalto gli individui, gli fa raccontare la loro situazione e il loro passato, rende le loro esperienze e la loro sofferenza così tangibili che per il lettore è impossibile dimenticare che sono persone, con destini e personalità individuali, colpite ogni volta che i nostri governi induriscono la politica di immigrazione e tolgono qualsiasi possibilità di chiedere asilo.

Si potrebbe definire il libro di Rovelli come un unico lungo reportage, dalle coltivazioni di verdura e frutta dell’Italia del sud alla pulsante attività edilizia dell’area milanese, un reportage che descrive la difficoltà, o addirittura l’impossibilità, di arrivare ai responsabili dello schiavismo e del lavoro nero quando le attività, come in Italia, sono svolte spesso e volentieri sotto forma di lunghe catene di contratti e appalti in cui la criminalità organizzata (mafia, camorra, ‘ndrangheta) costituisce una parte naturale e integrante del sistema.

Ho utilizzato il concetto di immigrati ”illegali” o ”senza documenti”, ma in realtà vorrei usare la parola italiana “clandestini” (che significa “segreti” e “nascosti”), forse anche “svedesizzandola” in “klandestiner”. Rovelli afferma nel suo libro che è una parola molto migliore, perché si riferisce alla condizione di vita di quelle persone e non a come vengono definiti dai paesi in cui giungono. Sottolineando l’”umanità” dei clandestini si mostra così quanto sia disumano negare loro i diritti umani.

Dunque: i clandestini, gli invisibili, gli uomini-ombra, quelli che devono sempre stare attenti e muoversi in modo da non essere scoperti o denunciati, quelli che non possono rivolgersi alle autorità se hanno problemi o emergenze. Ma che allo stesso tempo sono così importanti per la società e l’economia italiana, al punto che ci sarebbero conseguenze catastrofiche se di colpo venissero buttati fuori tutti.

Se non ci fossero i clandestini, scrive Rovelli, le arance rimarrebbero sugli alberi e gli italiani non avrebbero pomodori italiani nel piatto. Per non parlare poi della cura degli anziani, dove lavoratrici in nero chiamate “badanti” (spesso clandestine di paesi dell’Europa dell’est, in molti casi con titoli di studio universitari) svolgono quel lavoro che in Svezia viene svolto da personale regolare sotto la gestione pubblica o privata.

Quando il governo italiano l’estate scorsa ha inasprito la politica nei confronti dei clandestini, le reazioni in merito a tali ”badanti” sono state così forti, anche da parte di chi sostiene la Lega Nord, che si sono dovute fare eccezioni per il loro caso. Senza “badanti”, infatti, anche i vecchi genitori dei razzisti e degli xenofobi dovrebbero trascorrere i loro ultimi anni e giorni da soli, senza cure e compagnia. Per questo è stata offerta a tali lavoratori, in gran parte donne, la possibilità di registrarsi come forza lavoro regolare pagando un’imposta.

Rovelli non ha paura nemmeno di affrontare la delicata questione della criminalità degli immigrati. La presenza o meno degli immigrati in Italia viene praticamente sempre discussa come un problema di sicurezza. Rovelli, col supporto delle statistiche, mostra però che gli immigrati in possesso del permesso di soggiorno non commettono più crimini degli italiani nativi. Gli stranieri sono invece in generale tantissimi nelle carceri italiane, si tratta però appunto di clandestini, immigrati senza permesso di stare nel paese.

La conclusione di Rovelli è che il modo più semplice di fermare questa criminalità sarebbe quello di regolarizzare gli immigrati irregolari. Infatti, coloro che si sono integrati nella società e adesso vivono e lavorano legalmente spesso sono stati a loro volta clandestini in precedenza. E molti di quelli che vivono in questa condizione hanno precedentemente avuto un permesso di soggiorno ma non hanno poi ottenuto il rinnovo. L’eventuale tendenza criminale non va insomma cercata nella “natura” o nella “cultura” degli immigrati, ma ha piuttosto ha a che fare con la loro impossibile situazione nella Fortezza Europa. E allora perché non aprire loro la porta, se ne abbiamo bisogno e oltretutto già li sfruttiamo?

Servi” di Marco Rovelli è un libro importante ed essenziale, un reportage serio e ben scritto che descrive il mondo attuale così come lo vediamo e apre nuove prospettive di riflessione. Dopo aver letto il suo libro si dovrebbe anche ascoltare il suo nuovo disco “Marco Rovelli libertaria”. Io per il momento ho solo sentito la canzone “Il campo”, che mi ha davvero invogliato ad ascoltarlo tutto.

Roberto Saviano e Fabrizio Gatti non sono dunque gli unici scrittori che si occupano della società italiana in modo critico e con un certo successo. A loro va aggiunto anche Marco Rovelli, e a pieno merito.

Forse è ora che qualche editore svedese scopra anche i suoi lavori?

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