Marco Rovelli

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20/03/2010

Recensione a libertAria su Alias

di Giovanni Vacca

Canzone d’autore e narrativa sono sempre andate molto d’accordo, anche quando quest’ultima coincide con la forma del reportage. Per alcuni, si pensi ad esempio a un folk singer americano come Phil Ochs, canzone e reportage giornalistico addirittura si sovrapponevano (di qui il titolo di un suo album: All The News That’s Fit To Sing, “Tutte le notizie che è giusto cantare”). Detto ciò, non capita proprio tutti i giorni che escano, simultaneamente, un album e un libro a nome di un autore che già da un po’ di anni intreccia la passione per la scrittura e quella per la canzone. E’ il caso di Marco Rovelli, già membro del gruppo Les Anarchistes, che ha appena registrato il cd Libertaria (edizioni Transeuropa), e pubblicato Servi (Feltrinelli, 222 pagg., 15 euro), un volume che racconta un lungo viaggio nell’Italia dei clandestini e del lavoro sommerso. Il disco, per scelta della produzione, è reperibile solo in libreria.

Se Servi è un tormentato percorso fatto in prima persona, una denuncia accorata delle allucinanti condizioni di sfruttamento su cui si basa gran parte dell’economia italiana, Libertaria ne è quasi un’estensione, un progetto dove il discorso si amplia e, allo stesso tempo, si precisa: non più solo cronaca ma anche storia, riflessione filosofica, recupero della cultura popolare. L’album si apre con un omaggio ai martiri della Comune di Parigi “ovvero – scrive l’autore nelle note del libretto – i corpi resistenti e barricadieri”. Quello del corpo, e delle sue potenzialità di resistenza al potere, è il tema centrale dell’album, quel corpo che è “campo di battaglia” ma anche “canto di battaglia”, come risulta sempre più evidente dalle cronache di ogni giorno: un corpo che è esposto, nello spettacolo televisivo del potere, ma anche occultato, quando appartiene ai migranti e viene trattenuto nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione, gli ex Ctp), ai quali è ‘dedicata’ Il campo. Il Foucault della ‘biopolitica’ è dunque un riferimento importante, e se ne trova traccia un po’ ovunque, ma Rovelli ama in generale seguire le strade di pensatori ‘irregolari’, come aveva già fatto con Fra Dolcino e come fa ora con Nicola Cusano.

Dal punto di vista musicale, Libertaria è un disco che si muove tra il rock e una dimensione acustica più intima, quella, per esempio, che rilegge il Lamento per la morte di Pier Paolo Pasolini di Giovanna Marini, un brano degli anni ’70 ricavato da un canto paraliturgico medievale e dal quale parte la ‘discesa agli inferi’ nella cultura popolare italiana. E’ un cammino che scende a sud, per ritrovare, ed attualizzare, il celebre Briganti se more: se oggi è “l’odore di malta e cemento” a costruire il Mezzogiorno sono anche, volendo, proprio pietre e mattoni, a poterlo ‘de-costruire’, una volta che se ne riesca a cambiare e invertire il senso per riposizionarli come depositi di saperi concreti e strumenti utilizzabili, in una sorta di intifada delle idee. Il brano più riuscito del disco, però, è senz’altro Mea Culpa: giocato su un semplice ma indovinato arpeggio di chitarra, è ispirato a Céline che torna dalla Russia nel 1936 ed è una riflessione sullo sfacelo del socialismo reale e sulle possibilità di ripensamento della politica in un’ottica di contrasto permanente e nomadico alle offensive di ogni potere, in qualsivoglia colore, e in qualsivoglia forma, esso si mostri. L’album si conclude con il canto di tradizione anarchica dedicato a Sante Caserio, registrato al vivo.

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