Marco Rovelli

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05/07/2012

Recensione a Il contro in testa su La Nazione di Massa

 di Anna Pucci


«“IL CONTRO in testa, Valè, ce l’hanno anche i massesi. Quelli del piano no, solo qualcuno. Ma quelli della montagna di sicuro. Più vicini stanno alla montagna, più hanno il contro in testa. E’ la montagna a fare resistenza.” Così aveva detto Carlo all’osteria urlando a Silvano. Poi aveva tirato l’ultima bestemmia e se n’era andato a casa. “Sì”, aveva borbottato Silvano come se Carlo ci fosse ancora, “ma i fascisti son sempre stati tutti massesi”. E si era ripreso l’ultima bestemmia, che spettava a lui». A “Il contro in testa” è dedicato l’ultimo libro di Marco Rovelli (nella foto), in uscita oggi per gli Editori Laterza, che sarà presentato domani alle 21 a Palazzo Ducale nell’ambito di “Inchiostro e parole”.
“GENTE di marmo e d’anarchia”, spiega, e non spiega, il sottotitolo. Non è una cronaca, non è romanzo, non è un saggio. E’ un mosaico, come si addice alla terra dei marmi. O forse un arazzo che cuce insieme decenni di macro e micro eventi per ritrovare l’anima di una terra che l’autore ha “odiato” pensando che ne fosse priva. Massa e Carrara, due “borghi selvaggi” tenuti a bada dalle Alpi Apuane, un’area unitaria che — dice Rovelli — converrà chiamare Apuania, perché “fatta di due città che si sentono tanto più distanti quanto più forti sono le omologie”. Costante presenza l’anarchia; via via tutto il resto. Il Fascismo, la Resistenza, i partigiani, la gioventù ribelle degli anni ’70. E il lavoro in fabbrica e quello in cava, le lotte operaie, quelle politiche e quelle ambientaliste, la povertà e la miseria (che son due cose diverse), la rassegnazione e l’orgoglio. Come tanti fili cuciti su una trama che talvolta li esalta e talvolta li nasconde. Come un mosaico in cui ai fatti che tracciano contesti storici s’alternano racconti d’osteria, testimonianze e il vissuto dell’autore. Rovelli, dunque, torna alla sua terra. Una “terra visionaria”, in cui lo spirito anarchico è archetipo, spesso tradito ma mai vinto. Perché qua le pecore hanno le corna dell’ariete e sono nere. Ma d’un nero che è una storia a parte.

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