Marco Rovelli

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19/07/2012

Recensione/intervista di Fulvio Paloscia su Repubblica (Firenze)

 


«Per spaccare il marmo devi capire qual è la linea giusta, il suo verso. Se la segui, tagliarlo è facile. Se invece provi a tagliarlo diciamo al contrario, se vai contro il verso, non ci riesci: non c’è verso, proprio. E quello si chiama contro. Ecco, i carrarini hanno il contro in testa, sono duri, resistono, e non c’è verso di scalfirli. Non c’è verso, proprio ». Lo disse Silvano, anarchico apuano, a un giovane Marco Rovelli che cercava di capire la sua terra odiata «come si odia una madre secca e muta». Oggi che il cantautore e scrittore massese ha superato i quaranta, a quella «landa sterile e infeconda» ha dedicato un libro. Che, diciamolo, è un simbolico «ritorno a casa». Un atto d’amore. Dopo il viaggio nei centri di permanenza temporanea per immigrati clandestini di Lager italiani, dopo l’indagine sulle morti bianche di Lavorare uccide, ne Il contro in testa, pubblicato sempre da Laterza, è ancora la realtà al centro della narrazione, «la verità, vista però dalla mia prospettiva: questo libro è diverso dagli altri perché più romanzesco,  perché faccia a faccia tra me e la mia mitografia. Ma a legarlo alla produzione precedente c’è l’esigenza di mettere insieme un coro di voci. Perché l’unico modo per narrare il mondo è raccontare storie». E le voci in questione sono quelle di chi ha creduto nell’anarchia, di chi l’ha vissuta sulla propria pelle ruvida di cavatore, per poi vedersi catapultato in un presente mesto. E allora cosa rimane di quel sentimento recalcitrante del “contro in testa”? «L’inizio della globalizzazione negli anni Ottanta - spiega Rovelli - ha piallato qualsiasi entità antropologica, compresa quella apuana. La deindustrializzazione attuata con la promessa di un nuovo modello produttivo che non c’è mai stato, ha portato a un totale sradicamento da sé. Non c’è stato nessun disegno politico. Il capitalismo procede in modo molecolare, erode un po’ alla volta. Qui c’è stata una colonizzazione industriale e il colonizzatore, quando se ne va, distrugge la terra occupata».
L’anarchia qui è un archetipo da ricostruire. E Rovelli si avventura in paesi, boschi, cave, alla ricerca di chi, ancora, può contribuire alla conservazione dell’identità apuana; scova ricordi di osterie «dove i cavatori finivano la loro giornata piena di fatica discutendo dei loro diritti con l’alito di vino», si immerge nella Storia per capire le radici. Sue, e di una comunità: «Le giovani generazioni di Massa e Carrara non si confrontano con la tradizione anarchica: oggi la catena che ancora legava la mia generazione alla memoria, è rotta. Il ruolo dei “padri” è quello di testimoniare. E i figli non debbono replicare qualcosa che è stato, ma esserne all’altezza inventando cose nuove. La fedeltà ai padri si misura con la facilità a dimenticarsi di loro». Le lotte dei cavatori. Il volto anarchico della Resistenza
su montagne «per loro conformazione refrattarie a essere dominate nel modo sbagliato». L’avvento di Lotta Continua, che sulle Apuane trovò linfa per il proprio spirito libertario.
Ma Il contro in testa è anche un libro di luoghi. Fisici, o della mente. «Il primo maggio anarchico che parte davanti al Teatro degli Animosi, a Carrara, per fermarsi alle lapidi dedicate ai sacrifici di Giordano Bruno e delle vittime anarchiche dei moti del 1894, al monumento dedicato a Filippo Meschi, anarchico e sindacalista, in piazza d’Armi. E magari approdare in piazza Alberica, che per gli anarchici è piazza Lucetti, in memoria dell’anarchico che attentò a Mussolini. In via Ulivi c’è il circolo intitolato a Gogliardo Fiaschi e che lui stesso fondò dopo esser uscito di prigione. Andò in Spagna per uccidere Franco: c’è una vasta biblioteca, e ci si può incontrare il Taro, l’ultimo partigiano anarchico. Accanto, l’Osteria “La Capinera”, dove Belgrado Pedrini sparò a un fascista. Ma si respira un’aria più anarchica al bar di Gragnana. E a Carrara c’è anche la Cooperativa ex Tipolitografica, che stampa libri sull’anarchia». A Colonnata «si va per il lardo e per rendere omaggio “agli anarchici uccisi sulla strada della libertà”, come recita un’iscrizione; Torano, tutta fatta di marmo, ospita la sede della lega dei cavatori, con la lapide ai morti della strage Bettogli dove morirono molti cavatori. Le Cave, perché l’anarchia apuana è cominciata tutta da lì». E Forno. Dove le pecore sono davvero nere. Come dire: la natura ha capito tutto.

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