Marco Rovelli

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11/11/2012

Recensione di Fulvio Paloscia a La parte del fuoco su La Repubblica

 https://www.dropbox.com/s/puy31jate6j9es5/1352730207_repubblica-fi-11-novembre--rovelli.pdf

 Il clandestino, l’Occidente e le sirene del ritorno a casa

 FULVIO PALOSCIA

C’È UNA sottile linea rossa che unisce tutto il lavoro di Marco Rovelli, cantautore, scrittore, autore di «narrazioni sociali », come lui stesso definisce i suoi reportage. L’ascolto. I suoi libri - tra gli altri Lager italiani, sui Cie, e il recente Il contro in testa, sulle ultime tracce dell’anarchia tra Massa, dove è nato, e Carrara - hanno sempre il dialogo come elemento fondante. Il colloquio è la base imprescindibile della conoscenza, sembra dirci l’intera opera di Rovelli, soprattutto se l’impegno civile, la denuncia è la non facile materia di scrittura. E’ dalle parole di chi patisce sulla propria pelle un sopruso, un’ingiustizia, di chi si espone alle ferite di uno Stato non padre ma patrigno, che bisogna partire quando si parla di un’attualità scomoda e feroce: per volontà documentaristiche. E per segnale d’accoglienza. Al centro di tutti i libri di Rovelli pulsa dunque un nucleo di calore e luce, di sangue e carne che dirama la sua energia etica attraverso i personaggi, di solito portatori sani di subalternità. Accade anche nel romanzo La parte del fuoco - prima uscita della collana «Erranti erotici eretici» dell’editore Barbès, affidata alle cure di Andrea Cortellessa e Luca Scarlini - dove Rovelli non riesce a rinunciare al suo «credo» di artista sulle barricate.

Raccontando la storia di Karim, giovane e colto immigrato clandestino che dalla Tunisia approda in una poco accogliente Italia a bordo di una barca di cadaveri, dell’incontro con due donne entrambe determinanti nella sua vita, delle fughe di uomo braccato dalla legge e dalla malvivenza, l’autore si rivolge direttamente al protagonista del romanzo. La scrittura in seconda persona, quel «tu» non solo adombra il dialogo, il faccia a faccia tra personaggio e autore tutt’altro che onnisciente, casomai - come si diceva - in ascolto. Ma è evidente anche la volontà di coinvolgere il lettore, di trascinarlo dentro una storia che lo riguarda, ben aldilà dei personaggi che si muovono in un romanzo di grande intensità emotiva e civile.

La parte del fuoco è una storia di incontri e scontri che si esprimono attraverso i corpi dei protagonisti. Feriti, martoriati nella loro pelle oltre che nell’anima, come se quei tagli aprissero il varco verso una libertà altrimenti impossibile. Incidono il loro corpo con lamette gli immigrati clandestini rinchiusi nei Cie, per sfuggire ad una detenzione umiliante, deprivante e al rimpatrio forzato. Incide il proprio corpo la giovane Elsa, una delle due donne che Karim incontra in Italia (l’altra, Nevia, è la razionalità, la maturità, l’amante e la «madre »), di famiglia benestante la cui apparente rispettabilità nasconde abissi indicibili; Elsa che sulle braccia porta i segni violenti e sanguinanti di una ribellione familiare e sociale. L’occidente opulento e globalizzato si confronta e collide con l’universo dei migranti: due marginalità che hanno origini diverse, ma la stessa espressione autolesionista del dolore. Ed è quel punto esatto dove Karim ed Elsa, clandestini di segno diverso ma pur sempre esuli espulsi da una società che identifica la diversità come irregolarità, s’incontrano svuotati del loro sé, della loro vita, della loro dignità, proprio quello spazio fra dolore e dolore è la «parte del fuoco».

 

(Repubblica, ed. toscana)

 

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