Marco Rovelli

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30/12/2012

Recensione di Davide Barilli a Il contro in testa sulla Gazzetta di Parma

 Cavatori, anarchici, scalpellini,

lizzatori, gente dalla scorza dura,
tagliata nel marmo. La terra
d'Apuania, scheggiata tra mare e roccia
bianca, lucida come un osso, è un confine
storto. Un luogo arcuato che si
inerpica tra montagne spolpate, rubate
e ferite, dove l'eco del ribellismo si fa
tutt'uno con un mito senza più echi o
cantori. Esistono, però, cacciatori di
tracce, come dimostra «Il contro in testa
» (ed. Laterza, collana Contromano)
di Marco Rovelli, un libro «quête» che
non racconta leggende, ma storie d'osteria
e di rivoltosi, scovando verità nei
volti rugosi di anime visionarie. Come
Taro (ex partigiano anarchico che deve
il nome al fiume parmense) o gli altri
vecchi operai, con il loro controcanto
che scivola sul marmo duro come la
vita. Massa, Carrara. Posti irti, senza
dolcezze. Tra cave e un mare che c'entra
poco con loro: è nell'ombra delle montagne
l’anima di questa terra ribelle.
Un'ombra che è anche luce fissa, perché
è terra abbacinante; come un
ghiacciaio di polvere (fin dalla geografia:
basta salire al biancore delle cave
per accorgersene). Un saliscendi di destini
inconsueti, dove fare i conti con un
passato che non c'è più. Dov'è finita (si
domanda l'autore) la testardaggine dei
moti del 1894 e gente come Gaetano
Bresci, il regicida? E' un interrogarsi
cadenzato da un viaggio nel tempo alla
ricerca di una terra odiata «come si
odia una madre secca e muta». Senza
fronzoli di nostalgia, in ascolto di un
coro che centellina parole; gente di boscaglia
e di cava, erosa un po' come
quelle montagne cariate, luogo fisico e
mentale di un mondo sfruttato e disfatto.
Un libro duro, senza colore o
iconografia, un dagherrotipo scabro e
intenso. Non è una cronaca nuda e cruda,
non è esercizio letterario o romanzo,
non è un saggio sociologico. E’ una
vena che si apre in capillari, come succede
a certi marmi, se li guardi da vicino.
«Per spaccare il marmo - scrive
l'autore - devi capire quel è la linea giusta,
il suo verso. Se la segui, tagliarlo è
facile. Se invece vai contro il verso, non
ci riesci. Non c’è verso, proprio. E quello
si chiama contro. Il marmo è come la
vita, morbido al verso e duro al contro.
Solo che avere il contro in testa non è
facile. È un bel fardello da portare». Un
peregrinare tra sconfitti e nostalgici,
lungo i sentieri di un'altra Apuania,
ben oltre quella dello slow food e del
turismo gastronomico a caccia del lardo
di Colonnata. Attorno ai tavoli di
marmo delle osterie dove si coglie ciò
che, nel rumore delle città, non si riesce
più a percepire. Il rimbombo sordo di
un essere contro che è rimasto in gola
come un groppo e che non va giù neppure
bevendo un altro bicchiere.

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