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02/09/2013 In margine al recital Sbandati - di Gemma Bigi, su Anpi.it
"Sbandati' è il titolo del recital musicale che il cantante, scrittore e giornalista Marco Rovelli sta portando in giro in Italia in questi mesi. Un viaggio da ieri a oggi fra ballate popolari, combact folk e testi firmati a più mani con Erri De Luca, Wu Ming, Maurizio Maggiani. Un percorso che parla di Resistenza e resistenze, dolore e speranza, e che non poteva avere altro titolo.
Un titolo che per associazione mentale rimanda immediatamente ai convulsi giorni successivi all'8 settembre 1943, quando venne reso pubblico l'armistizio firmato a Cassibile fra l'Italia di re Vittorio Emanuele III e del maresciallo Badoglio con gli anglo-americani. L'armistizio 'corto' – uno più dettagliato venne rimandato a tempi meno concitati - fece della penisola un fronte di guerra, diviso fra nazifascisti e Alleati. Per il governo italiano rappresentò una legittimazione dopo l'esautoramento e l'arresto di Mussolini, per gli Alleati un successo propagandistico e morale da non sottovalutare. Oggi, che riccorre il 70° di quell'anno nodale per la storia del Paese, diciamo 'sbandati' e accumuniamo in un'unica categoria migliaia di storie, migliaia di vite, eppure è proprio quest'aggettivo a rendere e riassumere ciò che avvenne in quei giorni: lo spaesamento, la rottura con i vent'anni precedenti, l'incertezza e - con il senno di poi – un inizio. Ma chi erano gli 'sbandati'? Non erano che ragazzi, soldati spesso di leva del Regio esercito che, da un giorno all'altro e senza saperlo, si trovarono da alleati a nemici dei tedeschi con cui spesso stavano condividendo caserme e fronti. Giovani che videro le truppe naziste occupare le loro città, comandare di fatto la Repubblica di Salò che avevano creato, obbligare all'arruolamento gli uomini abili o destinarli alla deportazione con l'aiuto dei fascisti. Ragazzi che non sapevano che fare, con i superiori più in confusione di loro, che spesso appresero dell'armistizio direttamente dai tedeschi, non avendo il maresciallo Badoglio diramato alcuna disposizione relativa al come agire una volta reso pubblico il cambio di campo. Un'opposizione armata al Reich non era presa in considerazione dal governo italiano, il quale preferì lasciare tutto nelle mani degli anglo-americani e mettersi al sicuro. Così molti soldati dovettero affrontare i nazisti, arrendersi oppure, dove possibile, fuggire, disertare, cercare di 'tornare a casa'. Furono centinaia di migliaia i soldati impegnati nei vari fronti europei che, se mai avevano pensato possibile opporsi al governo fascista, seppero in quei giorni di settembre decidere da che parte stare e venire trucidati pur di non passare al nemico, come a Cefalonia; venire catturati e deportati come IMI (Internati militari italiani) oppure passare nelle fila dei resistenti locali come in Jugoslavia e Albania, mentre in Italia, in gran parte, ingrossarono le fila dei primi 'ribelli'. Le perdite dell'esercito italiano solo in quel frangente furono ingenti: circa 550.000 italiani deportati in Germania, oltre 40.000 i caduti in combattimento, fucilati o feriti gravemente, più di 20.000 i dispersi. Ma i numeri non rendono il dramma, il senso di abbandono, la rabbia e l'impotenza di questi uomini che seppero riscattarsi nella scelta, in un 'no' deciso, tragico, contro i tedeschi prima e i nazifascisti poi. Se i primi momenti di incertezza, di sbandamento appunto, scrissero pagine angoscianti della storia italiana, nella penisola in poco tempo la rete clandestina degli antifascisti seppe arginare lo spaesamento e offrire un'alternativa: le bande partigiane. Tuttavia lo snodo sociale - più che politico - rappresentato dalla Resistenza italiana, armata quanto civile, non lo si può capire senza andare con lo studio e la memoria ai decenni precedenti, ripercorrere quegli anni densi che tradussero un sistema di valori deviati in dittatura, colonialismo, in guerre e violenze. Non si può capire altrimenti come fu possibile scegliere di opporsi al fascismo– quando da vent'anni era vietato - e farlo fino alla fine. E fu necessario un evento che segnasse un prima e un dopo, un evento dal quale fosse impossibile tornare indietro nonostante le stragi, le torture, i sacrifici. Qui sta il senso dell'8 settembre, qui il perchè del recital di Rovelli. Perchè uno spettacolo intitolato non ai partigiani bensì agli sbandati. In quella confusione infatti si cominciò annusare il profumo della libertà. In quel momento tutto era possibile, ogni decisione, anche quella di non fare nulla ma in tanti presero la via dei monti, della clandestinità, della ribellione che è responsabilità oltre che lotta. In quel settembre molti italiani e italiane si riscoprirono persone, non massa; si riconobbero individui che potevano fare la differenza decidendo da che parte stare. E quando si sceglie la libertà, la solidarietà contro la barbarie, è difficile dopo scendere a compromessi. |
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