Marco Rovelli

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15/04/2015

Recensione a Tutto inizia sempre su La Repubblica di Fulvio Paloscia

 DISAPPARTENENZA è una delle prime parole che Marco Rovelli canta nel suo nuovo album "Tutto inizia sempre" (si acquista sul sito www.marcorovelli.it). Sta lì, nella forza di un incipit, a ricordarci una dimensione in cui Rovelli vive da un pezzo. Perché se c'è una parola d'ordine per entrare nel mondo del cantautore e scrittore massese è quello dell'incollocabilità: non tanto politica, visto che il suo amore(di intellettuale, ma soprattutto di uomo) per l'anarchia lo ha dichiarato più volte, ma prima di tutto musicale. Appiccicare l'etichetta "impegno" a quello che fa rischia di imbrigliarlo in una formula sonora antica e polverosa, roba di quarant'anni fa dove la parola – anzi, "il messaggio", come si diceva – era tutto, la musica poco o niente. No: Rovelli veste le sue idee fatte canzone con un'attenzione devota, verrebbe da definirla un vero e proprio "atto d'amore", nei confronti del suono, come già avveniva quando militava nei Les Anarchistes. Il ponte che lo porta dalla tradizione del cantautorato di protesta è tutt'altro che pericolante, perché nel tragitto Rovelli incontra il rock elettrico, l'acustico "da camera" con un respiro classico-sinfonico, il folk in tutte le sue evoluzioni. Per cantare cose grandi e necessarie, cose che oggi i cantautori non fanno più. Perché a tirare le fila dell'album sono personaggi storici che hanno vissuto per tenere i loro principi lontani da ogni possibile catena: dall'eroe risorgimentale Carlo Pisacane, nostro Che Guevara qui raccontato nella sua tormentata storia d'amore con Enrichetta (parabola di un'intera esistenza battagliera), a Vittorio Arrigoni attivista e reporter che si stabilì nella Striscia di Gaza, a Don Gallo, il ribelle la cui tonaca di sacerdote non fu certo ostacolo a gesta lontano dalla Chiesa, e che pure dovrebbero far parte dell'operato ecclesiastico. E un dio «dal gesto distruttore».

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