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19/06/2016

Recensione a La guerriera dagli occhi verdi su Panorama di Michele Lauro


Una coraggiosa generazione di donne-partigianeda un capo all'altro del mondo sta dedicando la vita a una lotta a tutto campo: per la liberazione dagli oppressori del proprio popolo, per il mutamento di una millenaria struttura sociale di stampo religioso-feudale, per l'emancipazione dal modello patriarcale basato sul controllo e sulla sottomissione del genere femminile. In luogo delle cronache giornalistiche, fredde ricostruzioni spesso viziate dal pregiudizio e dall'ideologia, sono appena usciti romanzi documentatissimi e capaci di raccontare il lato umano di una battaglia epocale di cui non sappiamo quasi niente, ma che ci riguarda molto da vicino.

In Kobane calling Zerocalcare ha messo la sua matita e il sua carisma narrativo e mediatico al servizio di un reportage tra i curdi del Rojava opposti all'Is, al confine tra la Siria e la Turchia, dedicando ampie digressioni alla lotta delle donne all'interno del PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan. In Ms Kalashnikov la fotoreporter Francesca Tosarelli e Riccardo Pedrini (Wu Ming 5) hanno raccontato il ruolo delle donne guerriere nei gruppi ribelli del Congo, all'interno di un più ampio progetto multimediale visibile sul sitowww.mskalashnikov.com, dedicato alle donne che hanno scelto di non essere mai più vittime. Marco Rovelli ha viaggiato in Kurdistan sulle tracce di Avesta Harun, La guerriera dagli occhi verdi.

A quindici anni Filiz lascia la famiglia e il villaggio montano dove è cresciuta, per unirsi ai combattenti del PKK nella guerra contro gli oppressori turchi e contro l'avanzata del Califfato. Con il nome di battaglia di Avesta, diventerà una leader carismatica di rara generosità, sensibilità e intelligenza. Rovelli, scrittore e musicista, ne ricostruisce le gesta sdoppiando il piano temporale della narrazione: il racconto dell'infanzia e dell'adolescenza della ragazza dagli occhi penetranti si alterna alle avventure al fronte della partigiana e alle memorie di altre guerrigliere.

Storie di visi scavati e tenaci ascese, in un mondo dove è diventato impossibile vivere. Storie di danze e poesia, lotta e sopravvivenza, umiliazione e orgoglio. Storie di orrore e tenerezza dove la natura riverbera la vita, semplificandola. E dove parola e pensiero, pensiero e vita costituiscono un'unità inscindibile giacché in Kurdistan, su quelle montagne di rocce, da sempre ciò che è tuo appartiene a tutti.La guerriera dagli occhi verdi introduce alla società kurdistana ponendo l'accento sulla sua dimensione interiore, matrice di una cultura egualitaria storicamente basata sulla convivenza pacifica di etnie diverse.

È straniante leggere queste pagine mentre Erdogan accusa il Pkk dell'ennesimo attentato a Istanbul, appena pochi giorni fa. Ma cosa sta succedendo? Su quali solide basi si regge l'ingiustizia nel mondo? Come sottrarsi al grido assordante della morte e alla prepotenza di chi vuole azzerare la memoria di un popolo? L'embargo ci stava soffocando, racconta una guerrigliera, gli attacchi ci stavano massacrando ma io continuavo a fare la maestra tra gli sfollati: la scuola, la cultura, è l'unico strumento per resistere. Nei boschi, oltre ai kalashnikov i curdi sono costretti a sotterrare anche i libri. I libri pericolosi come le armi. La resistenza dei curdi al Daesh oggi sta alle battaglie partigiane ai tempi del fascismo, sostengono i militanti. Giustizia e verità fanno così paura? Eppure sono contagiose, dice Avesta. È solo questione di tempo.

Contagiosa è sicuramente l'autodeterminazione di queste donne che lottano per la fine della schiavitù, consapevoli che l'Islam imposto dai dominatori non è altro che uno strumento di potere. La riconquista dell'identità di genere coincide con quella della sovranità di un popolo che sogna una svolta libertaria basata sull'equa distribuzione delle risorse, la tutela dell'ambiente, l'emancipazione femminile. Un radicale confederalismo democratico dal basso. Ma un paese non può essere libero se le donne non lo sono, conclude Avesta. Contro l'uso politico della religione la cosa più importante, più ancora dell'arma, è trasformare la nostra mentalità, "il barbaro che è in noi".

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